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Maha Kumbh Mela: il più grande pellegrinaggio al mondo

Il Maha Kumbh Mela è uno degli eventi più incredibili al quale vi può capitare di partecipare. Si svolge ogni 12 anni ad Allahabad nel nord dell’India dove, in un’atmosfera inverosimile, milioni di pellegrini da tutto il mondo si ritrovano per pregare e immergersi nel Gange.

Un viaggio al Kumbh Mela non è un’esperienza per tutti. Sicuramente è un’esperienza che non può non lasciarvi un segno per l’intera vita.

Abbiamo il piacere di pubblicare il reportage di viaggio del reporter Massimiliano Sticca che ci ha gentilmente concesso le sue fotografie realizzate durante questo meraviglioso evento.

 Maha Kumbh Mela 2103 (3)

 

Maha Kumbh Mela: il più grande pellegrinaggio al mondo

L’origine del Kumbh Mela risale a tempi mitologici, durante una guerra tra gli dei e i demoni per il possesso dell’Amritha, il nettare dell’immortalità contenuto nel kumbh (l’urna sacra). Il dio Jayanta, tramutato in corvo per sottrarre il nettare ai demoni, durante la fuga, fece cadere alcune gocce di Amritha dal vaso bagnando il suolo e rendendolo sacro. Proprio là dove caddero le gocce, nacquero quattro città, oggi conosciute come Prayag (nome premoghul di Allahabad), Haridwar, Ujjain, e Nasik. La fuga del dio durò 12 giorni “divini”, che corrispondono ai dodici anni “umani”, proprio il periodo di transizione tra un Maha KumbhMela (maha=grande) e l’altro. Questo evento viene celebrato solamente ad Allahabad (Prayag), mentre nelle altre tre città vengono celebrati i Kumbh minori, come l’Ardh Kumbh Mela e il Magh Mela.

 

Pilgrim at Maha Kumbh Mela 2013, in Allahabad.

 

Allahabad, il grande bagno (Mauni Am avasya) – 10/02/2013

Tra febbraio e marzo (il mese di magha) 80 milioni di pellegrini si sono bagnati alla confluenza del Sangam, tra i fiumi Gange, Yamuna e il sotterraneo Saraswati. Secondo la religione induista, il bagno permetterebbe di conquistare il “moksha”, la salvezza dal ciclo delle reincarnazioni e la purificazione dai peccati. Proprio per questo motivo a Prayag, Allahabad per noi europei, si radunano ogni dodici anni milioni di persone.

Ai lati del ponte Shastri, che attraversa il Gange, si sviluppa una distesa di tende sulle tre sponde del Sangam: una gigantesca città tendata, eretta in pochi mesi sul letto del fiume. Da qui svettano gli ‘ashram’ (i luoghi di meditazione) dei grandi guru i cui altoparlanti emettono senza sosta mantra.

 

Maha Kumbh Mela 2103 (26)

 

Il Kumbh Mela si può considerare una vera e propria città, soprattutto a cavallo del 10 febbraio 2013, durante il Mauni Amavasya, il bagno principale, dove quest’anno si sono radunati circa 30 milioni di pellegrini. Alle porte di Allahabad, per l’occasione, son stati creati: 10 ospedali, 18 ponti galleggianti, 40 caserme con 14 mila poliziotti, soldati e forze antisommossa impegnati giorno e notte a controllare gli 11 enormi accampamenti allestiti.

Alla vigilia del grande bagno i pellegrini arrivano senza sosta, come un “fiume” umano: uomini, donne con grandi pacchi sulla testa e bambini passano la notte ovunque, lungo le strada, nei templi e negli ashram (luoghi di meditazione). Ancora prima dell’alba i pellegrini si dirigono verso il fiume, illuminato a giorno da luci giallo ocra, per il bagno sacro. Le rive sono stracolme di pellegrini, che, come in estasi, si immergono nelle acque sacre, con sguardi entusiasti, schizzi, grida e mani congiunte verso il sole che sorge.

Il luogo del bagno purificante è il Triveni Sangam, ovvero la confluenza di tre fiumi sacri dell’India: Gange, Yamuna e Sarasvati, quest’ultimo è sotterraneo, a causa di un grave rivolgimento climatico che asciugò il suo corso superficiale circa 3000 anni fa.

 

Indian women releases an offering to Ganges at the Kumbh Mela.

 

Questi tre fiumi sacri nascono sulle alte vette dell’Himalaya. Il Gange sgorga da una caverna chiamata Gomukha “bocca di mucca”; le sue acque sono ricche di un’argilla naturale che ha proprietà di purificazione e di guarigione (chiamata tilaka) e viene usata da tutti i religiosi per decorare il corpo con segni di buon augurio, di diverso disegno a seconda del gruppo di appartenenza. Gli altri due fiumi, Yamuna e Sarasvati, hanno origine nella stessa zona dell’Himalaya, ma quest’ultimo diventa sotterraneo dopo circa 100 km di percorso.

Mitologicamente, Madre Gange scorreva soltanto sui pianeti superiori (dove si chiama Mandakini), ma il re Bhagiratha la pregò di discendere sulla Terra per purificare e liberare i suoi sessantamila antenati. Compiaciuta dalla grande austerità del re, accettò di discendere sulla Terra, dove venne accolta dal dio Shiva in persona. La Yamuna è considerata figlia del Sole e sorella gemella di Yamaraja (la divinità che giudica le anime trapassate e risiede a Pitriloka, il pianeta “tribunale” dell’universo). In sanscrito, yama significa infatti “gemello“. Le sue acque sono di un profondo blu come la carnagione di Krishna (un avatara – ovvero un dio sceso o apparso in terra – del dio Visnu). La personificazione del fiume Sarasvati è la dea Sarasvati (chiamata anche Sarada, Vidyadevi o Brahmani), adorata da studiosi, musicisti e artisti, figlia del signore Brahma che concede la benedizione della saggezza e della conoscenza.

 

A Naga Sadhu with his motorbike, near a tent in Kumbh Mela

 

I Sadhu, veri protagonisti del Kumbh Mela

I Sadhu sono asceti, uomini sacri per la religione Hindu. I più famosi sono i Naga Sadhu, asceti militanti devoti di Shiva (dio creatore e distruttore), che camminano nudi con il corpo ricoperto di cenere, lunghe barbe, capelli con dreadlocks incolti e visi dipinti con i simboli delle loro divinità d’appartenenza.

I Parivajaka, invece, sono asceti che hanno fatto il voto del silenzio e girano per le strade suonando piccole campanelle al fine di far scostare i viandanti dal loro cammino. I Shirshasin prendono il nome dalla posizione Yoga (asana) Shirshasana (posizione capovolta) e meditano a testa in giù per ore. I Kalpvasi sostano per l’intero mese della Kumbha Mela sulle rive del fiume celebrando rituali e cantando mantra.

Attraversando le tende dei Sadhu del Kumbh Mela si possono vedere alcuni di loro suonare una grossa conchiglia, evocando i suoni della creazione.

In altre situazioni si possono trovare gruppi di fedeli insieme ai Sadhu, che fumano pipe chiamate chillum colme di charas, una tipologia di hashish comune nell’India settentrionale, ricavato dall’estrazione di resina di Cannabis Indica. Dal punto di vista religioso l’origine di questo rito deriva dalla nascita mitologica della pianta di Cannabis, attribuita al dio Shiva, che giunto alla sedicesima reincarnazione ebbe la sfortuna di perdere l’amore della sua amata Parvati, che lo rinnegò. Affranto da tale perdita egli si strappò un seme dalla coscia e lo gettò sulle montagne circostanti dando così origine alla crescita spontanea delle piante, dopodiché per compensare la perdita della sua amata si dedicò fino alla sua morte al consumo della charas che lo aiutò a non sentire la mancanza. Attualmente la charas è ancora utilizzata dai sadhu per favorire la meditazione yoga e, nonostante la sostanza sia ufficialmente proibita dallo stato indiano, la sua diffusione e il suo utilizzo, radicato nelle tradizioni dei locali, sono molto frequenti.

 

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La notte dei pellegrini

Polizia ed esercito controllano per tutto il giorno il flusso di pellegrini che si dirige alle rive del Sangam, fino al tramonto quando i fedeli interrompono la lunga marcia verso la purificazione e si sistemano nelle tende e in campi tendati improvvisati costruiti con qualsiasi materiale trovato in loco o portato da casa.

I pellegrini che provengono dalle sponde del fiume sacro, dopo il bagno, si incamminano con ogni mezzo verso il lungo ritorno che li riporterà a casa.

Lo spettacolo serale e notturno è veramente intenso, milioni di persone si addensano sulle strade, sui ponti galleggianti (pontoon bridge), nelle tende e vicino ai pilastri del ponte Shastri, cucinando, pregando, riposandosi in preparazione dell’alba purificatrice nel fiume sacro.

Camminando sui ponti galleggianti si può assistere allo spettacolo del flusso di pellegrini che attraversano il Kumbh Mela e soffermandosi sulla riva opposta al Sangam si può scorgere la vista degli enormi accampamenti e degli Ashram.

Dal ponte Shashtri vi è una visione pittoresca del raduno dei pellegrini, le luci ocra miste ai coloratissimi vestiti creano una atmosfera quasi surreale.

 

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Scendendo poi nel cuore del Kumbh Mela si possono incontrare Sadhu, pellegrini e mendicanti che passano la notte e si preparano alla purificazione.

Le strade polverose vengono bagnate per ridurre la sospensione e rendere l’aria più respirabile, in ogni angolo si possono trovare fuochi improvvisati che i pellegrini usano per scaldarsi e asciugare i propri vestiti bagnati. Tutta la notte è un’eterna processione di persone che arrivano e che partono, senza sosta.

In alcune tende i Sadhu, ricevono i pellegrini che si prostrano ai loro piedi per essere benedetti, talvolta raccolgono addirittura la terra che un santone ha appena calpestato.

La devozione agli dei non è solo percepibile nelle tende dei Sadhu, ma anche per le strade del Kumbh Mela, dove è facile incontrare pellegrini che in silenzio pregano ore prima del bagno purificatore.

Molti fedeli si ritrovano nei pandal – tende di grandi dimensioni – per ascoltare alcuni dei guru più famosi dell’India, per assistere a lezioni su argomenti spirituali e filosofici o, in alcuni casi, per seguire “ricostruzioni teatrali” dei drammi indiani o gruppi di danza classica.

 

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Per un fotografo il Kumbh Mela è un’esperienza unica, qualsiasi sia il suo genere o preferenza. Non è solo una esperienza da immortalare, ma è una vera e propria avventura materiale e spirituale.

Durante i giorni trascorsi ad Allahabad con alcuni giornalisti e fotografi indiani, ho cercato di apprendere meglio la loro cultura, acquisendo una visione del mondo molto diversa da quella europea. Ho voluto inserire come ultima testimonianza di questa stupenda esperienza alcuni ritratti, istantanee e ricordi di incontri particolari.

Tutti i ritratti sono stati fatti, per scelta, instaurando un “rapporto” con i soggetti in modo da avere la loro attenzione nell’inquadratura e per non avere un “momento rubato” ma un “incontro di sguardi”.

 


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