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La Thailandia dai miei occhi [reportage di Sofia Melandri]

download_pdf-150x150Ore 10:30 di un  4 settembre qualunque; in una stanza al quarto piano di un  palazzo romano c’ero  io, sveglia ormai da  un’ora ma  ancora nel  letto tutta intorpidita. Alle spalle un  viaggio di  venti ore  e  tre aerei, iniziato da  un  piccolo aeroporto  di  una piccola isola nell’immenso oceano indiano. E’ su quell’isola che  la mia  avventura alla scoperta della Thailandia volse al termine.

Ma  per ogni  viaggio di  ritorno ci deve essere stata un’andata quindi andiamo con ordine. Era il  24 Agosto, tra  le  pagine del   mio   passaporto  due biglietti aerei; destinazione Bangkok. Aspettavo quel  giorno da  mesi e adesso era lì, il rumore del motore dell’aereo diventava  sempre più  intenso: stavamo  decollando. Uno  scalo, qualche ora di sonno e tre film dopo  eccomi nell’immensa Bangkok.

Ad  aspettare me  e  i  miei compagni di  avventura  fuori dall’  aeroporto la  nostra guida,  un   tipo   strano con   un   nome ancora  più   strano Narratip  comunemente conosciuto come Felice, che  senza perdere tempo ci condusse al nostro pullman. Un autista ci accolse con  un  sorriso sincero, accese l’enorme macchina e in  men che non si dica eccoci catapultati nella caotica metropoli.

Bangkok ti lascia un  segno dentro è  la  classica città che   ami   ed  odi  allo  stesso tempo. Bangkok è una contraddizione.

Appoggiamo  la   chiave  magnetica  alla  porta  della  nostra  camera  di   albergo, abbassiamo la maniglia e davanti a noi  un  enorme finestra da cui si vede lo skyline della città: una serie sconfinata di  grattacieli dalle diverse altezze, che  alla sera brillano di  mille luci  nascondendo la  distesa di  eternit al  di  sotto di  essi. Bangkok era racchiusa nella finestra della mia  stanza: ricchezza e povertà si  alternano in modo spaventoso senza vie  di mezzo. Ad enormi “quartieri” di baraccopoli costruiti sulle rive del  fiume Chao  Phraya erano contrapposti bar notturni, alberghi e centri commerciali dalle dimensioni esagerate. A preservare l’anima autentica della città i numerosi templi che  spuntano dal  reticolato urbano come per magia e dove al loro interno il  rumore del  traffico sparisce  e  l’aria sembra  più   pulita. E’  qui  che   la religiosità di questa città è palpabile, quasi commovente. I templi sono i gioielli con cui Bangkok si adorna ogni giorno da secoli, ognuno diverso e speciale a modo suo.  Il più  grande e splendente di  tutti è la residenza reale dove lo sfarzo è portato agli estremi ma  cautamente contenuto all’interno delle sue mura.

La  città vive 24 ore   su  24,   le  strade  sono perennemente invase da  macchine e tuktuk rumorosi che  con  meno di  tre euro ti portano ovunque tu desideri. Così  la bella e religiosa Bangkok la notte si trasforma nella peccaminosa Bangkok: quartieri a luci  rosse pieni di  ragazze sedute su tremolanti  sgabelli sui  marciapiedi della strada, spettacoli erotici venduti e  proposti da  ogni  tassista impegnato nel  turno serale, casinò e discoteche.

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Questa bipolarità conferisce a Bangkok quella vena di  mistero e  fascino che   la rendono unica nel suo  genere, ma  la Thailandia è ben  diversa dalla sua capitale.

Il nostro pullman si dirige verso nord, nonostante il viaggio sia  lungo a tratti risulta difficile dormire  in  quanto stregati da  ciò  che  ci  circonda: lo  scenario cambia, le abitazioni diminuisco e vengono sostituite da  immense risaie e campi coltivati. Sul ciglio  della strada si alternano  piccoli chioschi che  vendono di tutto: dalle deliziose noci  di cocco  alla frutta esotica più  strana, ma  anche topi  fritti e castagne di mare, prelibatezze  locali ostili al  palato di  qualsiasi occidentale. Ragazzi di  ogni  età a bordo di  scooters fanno spesso cenno con  la  mano per salutarci, ricambio con  un sorriso e un  altro saluto. Chissà cosa pensavano quei  giovani ragazzi di campagna di noi.  Quattrocentoventuno chilometri dopo, alleggeriti dal suono della chitarra  di Filippo arrivammo a Sukothai. Ormai era notte e  dai  vetri del  pullman non sono riuscita a scorgere un  vero e proprio centro città. La  città sembrava costruita sui bordi della statale, davanti alle  abitazioni cartelli enormi indicavano la  direzione per raggiungere resort di lusso nelle vicinanze. La zona infatti risulta famosa per i numerosi  siti  archeologici   che  avremmo  scoperto  la  mattina   dopo.  Arrivati all’albergo ed incantati dalla bellezza dello  stesso ci concediamo una serata di relax lontani, anzi lontanissimi, dai rumori di Bangkok.

La mattina dopo  era già l’ora  di ripartire lasciandoci alle  spalle quel  resort da sogno ma  trepidanti all’idea di scoprire cosa Sukothai avesse da offrire.

Ebbene  si, Sukothai  è   riuscita  ad   incantarmi  probabilmente  perché  non  mi aspettavo nulla da  questa piccola provincia. Il parco archeologico era composto da vecchi templi  in  rovina costruiti tutti  nelle vicinanze. Sembrava il  labirinto  di qualche gioco  Fantasy da  cui  dovere uscire. Surreale  è  l’unico aggettivo  che   al tempo mi venne in mente per descriverlo e che  tutt’ora mi ritrovo ad usare.

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Con  la  mente ancora dentro il labirinto affrontammo il viaggio in  direzione Nord verso Chang Mai. La città dava l’impressione di voler diventare la seconda Bangkok: i  primi grattacieli iniziavano a  sorgere tra  cui   quello  del   nostro  albergo ma, nonostante  la   spinta  del   progresso  a  Chang Mai   si   respirava  ancora  aria  di tradizione. La  mattina all’alba le vie  della città nei  dintorni dei  maggiori templi si tingevano  di  arancione.  Migliaia di  monaci  e  novizi scendevano per strada  a chiedere le offerte alla popolazione.Tutto d’un  tratto l’aria si riempiva di preghiere, le  ginocchia si  riempivano di  terra e  sassolini e  le  scatole dei  monaci di  cibo  per potersi sfamare. Tutto era come circondato da  un’aurea sacra che  diminuiva man mano che  il sole  si alzava in  cielo  ma  che  ha portato in  me  momenti di riflessione che  sono andati ben  oltre le prime ore  di quel  mattino.

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Salutai Cang  Mai  con  un  velo  di amarezza all’idea che  questo meraviglioso viaggio alla scoperta  di  una cultura e di luoghi fantastici  stava volgendo al   termine. Raggiungemmo l’aeroporto della città dove ci attendeva un  volo  diretto di poco  più di  un’ora per quell’isola (chiamata  Koh Saumui) nell’immenso oceano indiano già nominata all’inizio del  mio  racconto. Salutammo il nostro autista e il nostro,ormai caro, Felice e decollammo alla scoperta dell’ultima faccia della Thailandia: quella del caldo ed accogliente oceano.

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La  sera del  mio  3 settembre 2015 la  passai con  i miei 10 fantastici compagni di viaggio su una spiaggia di sabbia chiara a 13.948 chilometri da casa, illuminati dalla luna e  da  una fiaccola accesa, coccolati dal  rumore del  mare e  dalle note di  una chitarra a condividere pensieri sui  nostri giorni insieme in quella magica terra. Con l’unica consapevolezza che  la Thailandia aveva cambiato un  pochino ognuno di noi.

…Ore 10:30 di  un   4 settembre qualunque; in  una stanza al  quarto piano di  un palazzo  romano  c’ero   io,   sveglia  ormai  da   un’ora  ma   ancora  nel   letto tutta intorpidita sognante di rimettere lo zaino in spalla per scoprire ancora.

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