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In viaggio con Terzani – Laos e Vietnam

Good Morning Vietnam!!!

Quest’annuncio radiofonico risuona nelle orecchie ancora oggi, anche alle persone della mia generazione che non hanno vissuto negli anni del conflitto in Vietnam ma sono stati “istruiti” dai colossal americani.  Un conflitto raccontato, come spesso accade, solo dalla parte Occidentale. Così mi appresto a partire per l’Indocina accompagnata dal libro di Tiziano Terzani “Pelle di Leopardo”, dove il giornalista racconta la guerra dal punto di vista di chi l’ha vissuta. In me c’è la voglia di capire e di andare oltre, di tentare di associare il Vietnam ad altre parole che non ricordino le atrocità della storia.

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Il Laos ci accoglie con la sua pace, il lento scorrere del Mekong che lambisce Vientiane e che invita a sedersi sul lungo fiume per bere un cocktail al tramonto, mentre un gruppo di persone saltellanti saluta la sera a suon di una specie di zumba indocinese… Il Tai Chi sembra ormai superato. La capitale di un Paese asiatico più tranquilla che esista, niente traffico, poche persone in giro, solo matasse di fili elettici sui tralici ricordano che siamo in Asia.

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La storia della guerra non tarda a colpirci con tutti i suoi orrori. Al centro “Cape” di Vientiane ci viene spiegato che i B 52 americani sganciarono più bombe in Laos che in Vietnam ed in Cambogia. Da qui passava il sentiero di Ho Chi Minh, dove l’esercito del nord riforniva le basi instaurate nel Sud. Rispetto a quanto Terzani indica nel libro il numero di morti e di feriti è aumentato: ancora oggi bombe inesplose fanno saltare in aria poveri contadini. E’ anche vero però che dagli stessi ordigni oggi il popolo laotiano ricava utensili da cucina, pali per le palafitte, segno che la vita va avanti. Come il nostro viaggio che ci riporta alla pace e alla serenità di Luang Prabang. Ogni mattina una processione di 200 monaci buddisti sfila per le strade, pronti a prendere la propria questua giornaliera… Loro sono pronti, noi un po’ meno! Volendo partecipare anche noi all’offerta per i bonzi dobbiamo svegliarci all’alba, prepararci indossando una stola, sederci su minuscoli sgabelli a bordo strada ed essere pronti a lanciare manciate di riso nelle loro ciotole… Bisogna essere veloci per non perdere il giro!

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La calma e la serenità del popolo laotiano la si comprende ancora meglio lasciando il Laos e sbarcando ad Hanoi. Motorini, persone, donne a piedi con i tradizionali bilancieri, la confusione delle strade di questa città ci riporta nell’Asia che conosciamo. Prima cosa, se non ci si vuole rovinare la vacanza, imparare ad attraversare la strada! Muovetevi lentamente, non a scatti, in questo modo gli scooteristi sono pronti a sfilarvi accanto. Da non perdere il quartiere vecchio la sera, dove orde di giovani vengono a bere una birra nei baracchini in mezzo alla strada… E mi ci ritrovo anche io seduta tra di loro ad assaporare un arrangiato barbecue con olio saltante che mi ustiona le braccia.

Vediamo uno spettacolo divertente, ma soprattutto unico: lo show delle marionette sull’acqua. Un’arte che si è sviluppata solo in Vietnam. Nel libro Terzani racconta che una notte, assieme ad un gruppo di giornalisti, alcuni contadini lo portarono in una zona del Delta liberato ad assistere ad uno spettacolo di marionette. All’ora la rappresentazione prendeva in giro i soldati americani, nel teatro invece vengono presentate con un pizzico di ironia scene di vita quotidiana nelle campagne. Il giornalista aveva assistito ad un autentico teatro popolare, ma è pur vero che oggi senza la presenza dei turisti, spesso criticati perché considerati un minaccia alla salvaguardia delle tradizioni e delle culture locali, quest’arte sarebbe con tutta probabilità scomparsa.

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Tutti i sinonimi di bello si rispecchiano nei faraglioni di Halong Bay, una baia descritta da molti per il suo paesaggio incantato. Tuttavia, dietro alla calma apparente si nascondono i villaggi galleggianti dei pescatori, le attività dei coltivatori di perle e le donne che con le loro barchette sbucano da tutte le parti non appena mi affaccio dalla giunca in legno con cui navighiamo per esplorare Halong Bay.  Sono pronte a vedere di tutto, passando le merci con un lungo bastone di bambù. Sono le stesse donne che il giorno prima ci hanno accompagnato con i sampan alla scoperta delle grotte di Trang An, meno note della Baia di Halong, ma altrettanto meravigliose. La signora che ci ha condotto tra i canali ha remato per più di un’ora, alternando gambe e mani, per immergersi in grotte sotterranee adornate da stalattiti. Sono le stesse forti donne che vedo nei campi di riso, con indosso l’inconfondibile capello conico multi uso: per coprirsi dal sole, farsi aria a mo’ di ventaglio, per raccogliere l’acqua, trasportare oggetti…

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Ecco che la guerra ritorna quando si calpesta la storia passeggiando tra le rovine di Hue, capitale dell’ultimo re vietnamita distrutta dall’offensiva del Tet nel ‘68 e poi dalle bombe americane. Il medesimo conflitto che ha colpito i resti del sito di My Son, ma che ha risparmiato il gioiellino di Hoi An. Qui ritrovo le mie donnine con in mano un lungo stelo in bambù, serve per metter in acqua le lanterne che accendono il fiume la notte… Altro che “notte delle lanterne di Milano”! Qui i lumini luccicano a centinaia, in acqua ed appesi ai locali strabordanti di viaggiatori.

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Dopo qualche giorno di riposo sulle immense spiagge incontaminate appena fuori Da Nang, sulla stessa sabbia in cui lasciarono le orme migliaia di soldati, francesi prima e americani poi, venuti per la conquista dell’Indocina, arriviamo a Saigon. Non so quanto tempo ci volle prima che tutti chiamassero Costantinopoli Istanbul, fatto sta che qui Ho Chi Min City è rimasta ancora per tutti semplicemente Saigon. Terzani evidenzia come una delle prime cose che lo colpirono della città fu la moltitudine di motorini. Oggi come allora la confusione di un tappeto di scooter che congestiona la città non può passare inosservata.

La guerra colpisce di nuovo con le sue crudeltà, percorrendo i tunnel di Cu Chi, roccaforte per anni dei “ribelli” Vietcong, e soprattutto al War Remnants Museum. Gli orrori, le atrocità, le barbarie del conflitto sono raccontare attraverso delle sconcertanti fotografie. La più nota è lo scatto di Huynh Cong ‘Nick’ Ut, che ritrae una bambina che scappa dal suo villaggio in fiamme colpito da una bomba al Napalm. L’immagine che mi sgomenta l’anima è però un’altra: è quella sempre di una fanciulla ma bianca, nata con una malformazione al braccio a seguito degli ordigni chimici, segno che in guerra non ci sono né vinti né vincitori, ma si è tutti perdenti.

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I carrarmati del Fronte Nazionale di Liberazione sfondarono i cancelli di “Doc Lap” ed entrarono nel Palazzo Presidenziale senza sparare un sol colpo. In Pelle di Leopardo leggo che il generale Minh si era già arreso e che il 30 aprile del 1975, con i carrarmati entrati a Saigon, dopo 30 anni di conflitto giunge la riunificazione del Vietnam. Io mi aggiro tra le mura di questo palazzo inebriata dal profumo della storia. Ai più questo edificio, oggi chiamato Palazzo della Riunificazione, può sembrare solo un cubo di cemento arredato con mobili nemmeno troppo sontuosi, ma è qui che ebbero luogo gli eventi che cambiarono il corso della storia di questo Paese.

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Finisce il viaggio tra i lenti ed armoniosi canali del Delta del Fiume Mekong, tra la spettacolare e rigogliosa giungla tropicale. Terzani rientrò a casa con la convinzione di aver lasciato un Paese il cui popolo aveva vinto riprendendosi le proprie terre. Oggi sarebbe probabilmente contento di constatare che la guerra non ha cambiato l’anima di questa gente mite che non porta rancore contro chi dall’alto lanciò ordigni devastanti. Sia nella maggior parte della popolazione giovane che non ha vissuto il conflitto in prima persona sia negli anziani che perdettero molti cari in quegli anni, non c’è odio nei loro sguardi, gli occhi guardano al futuro e non al passato

Oggi sono loro che possono gridare con orgoglio e a gran voce: Good Morning Vietnam!!

Sabrina Ferrario

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