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Myanmar – Vita su uno specchio d’acqua

L’acqua, fonte di vita, è da sempre legata alla costruzione dei più grandi insediamenti umani. Fin dalla nascita delle prime città mesopotamiche due fiumi, il Tigri e l’Eufrate, furono alla base dello sviluppo d’imperi. Oggi anche le nostre più importanti città si affacciano su corsi d’acqua silenziosi, cornici per scatti unici o passeggiate romantiche, ma il loro scorrere non viene più percepito come una fonte di vita.

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Sul Lago Inle, a bordo di una lancia ad osservare le scene di vita locale, ci si immerge in un passato che noi allegri turisti occidentali abbiamo ormai dimenticato.

Il riflesso delle nuvole sullo specchio d’acqua è interrotto dal verde degli orti galleggianti. Gli uomini Intha che vivono nei sei villaggi che si ergono interamente su palafitte sopra il lago qui coltivano pomodori, zucchine, insalata… L’ingenio umano ha portato a fissare degli strati di alghe galleggianti al fondo con dei bambù e a coltivarci sopra. Strette piroghe passano tra gli orti fluttuanti a controllare l’imminente raccolto, mentre i pescatori remano con una sola gamba cercando di tirare su nasse piene di pesci. Questa scena che ci si para davanti, così tipica del Lago Inle, sta rischiando di scomparire. La visione di una vita più facile e confortevole fa preferire uno scoppiettante motore al semplice remo.

Lo stesso concetto vale per le donne Patao, conosciute come “donne giraffa” per i loro colli adornati da cerchi concentrici in bronzo. Le bambine di questa etnia non vogliono più seguire questa tradizione che le vedrebbe costrette a nove anni a indossare i loro primi 13 anelli, per arrivare a 20 anni ad averne 20 con ben 10 chili da portarsi in giro.

Lasciamo le donne Patao mentre stanno tessendo con semplici telai per visitare una fabbrica di tessuti. Non solo i bachi producono seta ma anche dai gambi del fiore di loto si possono ricavare filamenti pregiati che sono usati da abili mani femminili nei telai per tessere a mano. Maneggiati come strumenti musicali, nella stanza su una palafitta sembra di assistere a un concerto armonioso di strumenti in legno.

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Le donne che vivono sul Lago Inle preparano anche i Cheroot, sigari sottili che poi vedremo fumare dalle donne Pao al mercato di Aungben, sulla strada per Kalaw. Sui loro volti non può mancare il Thanaka, una protezione naturale dal sole ricavata sfregando un pezzo di tronco d’albero su una pietra tonda.

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Gli uomini li incontriamo al monastero Nga Pha Kyaung, dove un tempo addestravano i gatti a saltare nei cerchi. Questo santuario è interamente in teak, legno pregiato di cui i coloni britannici fecero incetta e oggi quest’albero rischia di scomparire.

In un altro tempio troviamo le cinque statue sacre per i villaggi del Lago, ma per vedere delle sembianze di Buddha bisogna usare la fantasia. Negli anni i devoti hanno applicato strati e strati di foglie d’oro sulle statue, trasformandoli in pezzi informi.

Mentre i bambini si tuffano e fanno il bagno nel canale che parte dal lago e le donne lavano i panni, noi ci dirigiamo verso le colline di Inthein per ammirare 1000 pagode, dalle più antiche in pietra alle più moderne dorate.

 

La potenza dell’acqua può diventare anche una minaccia per l’uomo, quando argini di laghi e fiumi rompendosi inondano case e terreni. Ad Amapura, nella zona di Mandalay, il lago Taungthaman e il fiume Irrawady sono straripati, costringendo la popolazione che vive su palafitte vicino all’acqua ad allestire baracche temporanee nell’entroterra. Ogni anno l’acqua sommerge le loro case, ma queste persone vivono nella speranza che ogni anno questo non accada.

Visitare in questo contesto le rovine di Ava è un’esperienza unica. Costretti ad abbandonare i calessi che ci stavano portando al tempio di Bagaya Kyaung, prendiamo una barcarola che ci traghetta nuovamente su uno specchio d’acqua chiara dove le nuvole si riflettono. Le antiche rovine di Yadanasimi Paya sono anch’esse semi sommerse e le statue di Buddha emergono come issate da qualche mano misteriosa in fondo al lago.

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Mentre il lento scorrere dell’Irrawady ci conduce verso Bagan, l’ultima tappa del nostro viaggio, salutiamo i pescatori sulle loro esili canoe in legno e i contadini che arano i fertili campi vicino al fiume utilizzando ancora aratri trainati da buoi…ben consapevoli che tra qualche anno questa immagine rurale potrà essere solo un ricordo.

 

Reportage di Sabrina Ferrario

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